Ci siamo dimenticati della tenerezza.
Forse resta ancora
impigliata al nostro sguardo quando abbiamo davanti dei cuccioli (umani o
animali), ma abbiamo smesso di considerarla tra di noi, gli adulti che muovono
il mondo moderno. Dove l’abbiamo lasciata? Ci siamo concentrati su altro. La bellezza,
la giovinezza, il successo, il rancore, la rabbia.
Sputiamo sentenze e veleno
in tali quantità da non rendercene nemmeno più conto, perché giudicare gli
altri è diventata un’abitudine. Personalmente sono arrivata al punto da non
sopportare più le discussioni che si creano su facebook o sui giornali online,
perché non sono più discussioni, sono attacchi mirati a prevaricare e zittire l’altro.
C’è gente che pur di esprimere la propria voce si accontenta di dire
sciocchezze o cattiverie (tra l’altro il più delle volte senza alcun senso
critico o memoria grammaticale).
Deve essere colpa della folla, siamo caduti tutti insieme
dentro la trappola della folla, e nella folla ognuno di noi è nessuno. Ci
sentiamo autorizzati a dire e pensare qualsiasi cosa (persino ciò che in
solitudine non oseremmo mai dire) perché nella folla non siamo nessuno, se non
un riverbero perduto nel caos. La crisi sociale e culturale (ma forse culturale
prima) deve aver messo un carico maggiore su questa pericolosa deriva del
cinismo.
Il mondo sembra essersi diviso fra chi ha ragione e chi ha torto, ma
non credo che l’intenzione dell’essere umano fosse questa. C’è l’incanto dell’illusionismo
a dimostrarcelo, c’è la letteratura migliore a ricordarcelo, c’è la vita
stessa, con i nostri sbagli e i nostri dubbi, a ribadirlo ogni giorno. Noi non
abbiamo sempre ragione, ma quanto pesa il torto? Fa così male accettarlo? È l’insicurezza
che ci forza a perseverare su un principio pronto a marcire? O forse è
semplicemente la difficoltà ad ascoltare ed osservare da una giusta distanza?
Ricordo che la mia professoressa di italiano un
giorno ci disse che l’ironia è la capacità di mettere una distanza tra noi e le
cose, osservarle facendo qualche passo indietro e da lì riderne.
Non si tratta
semplicemente di strappare una risata, quanto piuttosto di osservare con
lucidità una realtà che ci coinvolge. Quella piccola distanza è un territorio
sacro per me, è il territorio in cui la ragione non appartiene a nessuno, siamo
noi a girarle intorno. Eppure ho l’impressione che la distanza che stiamo
imparando a mettere tra noi e la realtà sia diventata estrema, estremamente
lontana o estremamente vicina, in entrambi i casi osservare diventa
impossibile.
Forse è in questa distanza che si è smarrita la tenerezza. La tenerezza
non ha molto a che fare con il sentimentalismo (e nulla con l’ironia, quindi
forse il mio passaggio mentale è un po’ forzato), è più che altro un gesto di
salvezza che ci concediamo; e specifico, volto a proteggere un altro da noi, per
questo è forse il sentimento più nobile ed altruistico che ci sia in quest’epoca
di narcisismo ed egoismo.
Per come la vedo io la tenerezza ci riavvicina dopo che da
lontano abbiamo visto il mondo e i suoi umani e forse ne abbiamo riso, ci è andata bene… pochi passi
ancora e avremmo rischiato di diventare cinici!
Canzone consigliata: Try a little tenderness di Otis
Redding.
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