domenica 23 ottobre 2016

L'amore di questi tempi....

Che cosa ha reso questa generazione così superficiale? L’insicurezza? La noia? 
Per curiosità mi sono iscritta per h24 a Badoo (uno sito di incontri, nel caso qualcuno ancora non si fosse iscritto!). Mi sono sentita sopraffatta dalla solitudine e dall’ego. 
Quello mio, che con 100 like di estranei e più di 20 messaggi privati ricevuti in poche ore si è galvanizzato, e soprattutto quello dei maschi in posa per il catalogo online che avrebbe dovuto promettere loro il successo troppo difficile da conquistare nella vita reale. E più li guardavo, belli o brutti che fossero, più mi apparivano soli.

Forse abbiamo imparato a ferire e ferirci con troppa facilità e leggerezza, questo ci ha fatto diventare insicuri e, forse, irresponsabili. La tela delle ferite e della leggerezza si è tesa e stesa in una rete ingarbugliata da cui è impossibile uscire. Sono stato tradito, sono autorizzato a tradire. Sono stato preso in giro, sono autorizzato a prendere in giro. Sono stato sedotto, sono autorizzato a sedurre.  E così colpe e insicurezze ricadono su tutti noi, punendoci per un peccato senza più origine.

E poi c’è la noia, compagnia di viaggio palpabile e lunatica. Di questo non riesco a non incolpare le nuove tecnologie, e sì lo so che non ho nemmeno 40 anni e ho a mala pena l’esperienza del “com’era prima”, ma è impossibile non farci caso. Basta un passo indietro e li vedo, ci vedo…mi vedo. Siamo quelli che non sanno stare in fila, che controllano il telefono ossessivamente, che non sanno guardare un film senza distrarsi. Che devono sempre fare qualcosa, sempre essere presenti da qualche parte per sentirsi nel presente.

Novecento (dal romanzo di Baricco) diceva: “Lo cercai, ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto, ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.(….) Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…”

È la prima volta che lo capisco, che lo vedo, è l’assenza di una fine che ci ha confuso, che ci ha guidato dentro il disordine. È l’enormità di strade, case, vite, uomini, donne. L’enormità delle scelte che ad ogni angolo spalancano nuove strade, nuove case, nuove vite, nuove opportunità. Come si può allora scegliere una strada, una casa, una vita, un uomo, una donna? Quell’enormità che si è spalancata sui nostri orizzonti è fatta di ombre. Sono proiezioni, inafferrabili e confuse. A furia di cercarle abbiamo cominciato ad annoiarci, a forza di tentativi inutili di afferrarle siamo diventati insicuri.

“Io che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio. Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo un sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c’entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito. Allora li ho incantati.”


Sarà questa la soluzione di questa generazione emotivamente instabile? Lasciar cadere i desideri uno ad uno perché la vita è troppo difficile? Quali sono le nostre opzioni per affrontare l’enormità che ci seduce come sirene ai naviganti? Spegnere tutto? Non è probabile. Distinguere. Ecco forse cosa può salvarci. Tenere gli occhi sulla fine, tracciare una linea, non importa quanto dritta o lunga, ma camminare ai margini di una linea e conoscere la fine. Tutto il resto sarà fatto di desideri e scelte, non importa quanto avventate o coraggiose. Purché siano scelte e soprattutto, desideri. 

sabato 25 aprile 2015

La libertà raccontata a mio nipote

Si sta staccando dall'infanzia. Lo osservo attentamene e vedo già, dentro il corpo di un bambino, lo sguardo del ragazzo che sta emergendo. Come fosse una scultura di marmo, prendono forma gli anni che verranno. Mio nipote ha quasi dieci anni ed è sempre stato una creatura fuori dal comune. La sua intelligenza, il suo ostinato voler scegliere le parole, la capacità di pesarle e cercarle, ci hanno sempre stupito ed emozionato. E la cura che mette nelle parole lo hanno aiutato a pensare, immaginare, domandare, capire. Sta diventando grande, e cresce anche attraverso l’impegno e l’amore della sua famiglia. Per questo voglio dedicare a lui una lettera, oggi 25 aprile 2015. 70 anni di Liberazione.

Mio caro Santiago, 70 anni ti sembreranno moltissimi. Ti sembrano tanti persino i miei 35! Eppure per un Paese 70 anni sono pochi. 70 anni fa questo Paese è uscito dalla guerra. Lo so che per te (per fortuna) è difficile capirlo. La guerra è una cosa che nessun bambino dovrebbe conoscere. In guerra, sotto una dittatura, c’è la povertà, la fame, la paura. Ma se possiamo ricordare e raccontare questa storia, lo facciamo perché in guerra ci sono anche uomini coraggiosi, solidali e ambiziosi. Quegli uomini (si chiamano partigiani) hanno combattuto per liberarci dagli oppressori. Erano ragazzi di vent’anni disposti a dare la vita, perché senza libertà non c’era futuro che valesse la pena aspettare e costruire. Molti di quei ragazzi sono morti per un’idea di giustizia che ancora oggi dobbiamo proteggere e coltivare. Sarà anche compito tuo proteggerla, perché è l’unico modo per impedire agli ingiusti e ai prepotenti di decidere al posto nostro.

Questo significa non dimenticare mai il valore immenso della libertà. Ci sono ancora tante persone che credono che la libertà che abbiamo oggi non sia una gran cosa. Come se fosse dovuta, inevitabile, il minimo indispensabile; e che in fondo la libertà di cui godiamo noi non sia poi così assoluta. Ma chi lo dice non sa cosa sia la sua totale mancanza.
Essere liberi significa poter contestare le opinioni altrui, manifestare le proprie idee, muoversi per raggiungere altri confini, voler bene ed essere amico di chi è diverso da te. Significa leggere qualsiasi libro, ascoltare ogni tipo di musica, studiare tutto ciò che ti incuriosisce. Significa litigare e dopo fare pace.
Un giorno conoscerai la storia della tua famiglia. Attraverso le parole imparerai a pesare il passato, un passato che appartiene anche a te e a tuo fratello, e che dovete custodire.
Il non dimenticare il passato di coloro che sono rimasti e di coloro che sono partiti lasciando un Paese devastato, ci serve per sviluppare un muscolo importante, è il muscolo che muove il rispetto, la pietà, la solidarietà.

Viviamo in un Paese che è diventato difficile, che ha cominciato a dimenticare. Quel muscolo si sta rammollendo. Tu sei coraggioso e curioso, le tue braccia stanno diventando forti, i tuoi muscoli scattanti. Sii sempre pronto ad accogliere chi ha paura, fame ed è in cerca di un futuro che valga la pena aspettare e costruire. Non credere agli ingiusti e ai prepotenti che vorrebbero convincerti del contrario, essere umani significa essere partecipi del destino degli altri.
Un giorno sarai grande abbastanza per viaggiare e in quei viaggi capirai davvero che cosa significa essere diversi e tutti uguali. 
E soprattutto capirai cosa significa essere liberi.



venerdì 13 febbraio 2015

Se

Da quattro mesi prendo l’autobus 23 per andare a lavoro. 
Un lavoro nato come una scommessa. Quando scommetti sai che c’è il rischio di perdere, ma non lo pesi più del necessario, perché se la minaccia della perdita e della sconfitta pesassero più della curiosità e della speranza scommettere non avrebbe alcun senso. La puntata sarebbe solo un altro colpo sparato a vuoto.
Qualche giorno fa mi trovavo sul 23 e guardavo fuori dal finestrino quando l’autobus, fermo ad un semaforo, si è specchiato in una vetrina. Improvvisamente i numeri sono diventati lettere, 23 non era un numero a caso, era il SE che mi portava ogni giorno a vivere una scommessa. Viaggiavo su un SE.

Non ho mai vissuto di certezze, la mia natura mi ha portato alla costante ricerca di esperienze nuove. Soddisfare curiosità, cambiare prospettiva, ricominciare. Nulla è mai scontato, i SE determinano la possibilità che una scelta sia del tutto sbagliata. E quando succede c’è poco da lamentarsi, sbagliare è parte dell’avventura. Il Se fa parte dell’essere.
A questo punto mi chiedo: cosa ci rende dei vincenti? I rischi calcolati? Le scelte giuste? La capacità di ottenere ciò che si vuole nonostante, o in virtù, dei SE? Onestamente non lo so. Forse solo la determinazione a rimanere se stessi. Sia che si vinca, o che si perda.

Cominciamo un lavoro, o una relazione, senza sapere se sia stata la scelta giusta, se in mezzo a centinaia, migliaia, milioni di possibilità, andare avanti in quella direzione ci possa poi rendere felici.
Ahimè ve lo dico, temo che solo scegliendo otteniamo una risposta.


Sotto lo sguardo impassibile dei miei SE continuo a cercare la scelta giusta, mi chiedo dove mi porteranno ancora le emozioni, quando e come avrò il coraggio di superare le mie paure. Grazie a tutti gli sbagli fatti ho imparato che tormentare i dubbi non è la soluzione; conoscerli, metterli su una bilancia dando loro un valore, forse sì. Purché valgano sempre meno della curiosità e della speranza che questa sia la volta buona.