Per me il 2013 è stato un anno di delusioni; delusioni affettive,
politiche, professionali.
Certamente so di aver commesso molti sbagli,
riponendo speranze in persone e avventure sbagliate, ma a volerlo guardare da
una prospettiva diversa, che non sia di disillusione e amarezza, vedo un anno
in cui mi sono messa in gioco, in cui ho voluto credere che rischiare fosse
meglio che lasciar perdere. A dispetto del fallimento rivedo le emozioni
fugaci, ma sempre appassionate, le risate, le scoperte, gli entusiasmi, e non
importa il tempo che hanno resistito, importa la vita che mi hanno trasmesso e
la vita che mi incoraggiano a desiderare. Attraverso quello che ho avuto e
quello che ho perso riconosco ciò che voglio chiedere al nuovo anno.
Ogni volta di questi tempi ci auguriamo che l’anno in arrivo
sia migliore di quello passato e lo diciamo solitamente più con rimpianto che con
speranza, ma poi ti accorgi che così si accumulano gli auguri disillusi, in cui
non si salva nulla di ciò che abbiamo vissuto.
Di questo 2013 difficile salvo:
il week end a Parigi con Ilaria; le nuove amicizie (che sono state tante e
preziose); quelle vecchie che si rafforzano; la voglia di imparare un mestiere nuovo (non è detto che ci
sia riuscita, ma almeno ci sto provando); le risate con Letizia a Mallorca; le albe
di passione; i matrimoni dei miei amici, le nuove attese e i bimbi che guardo
crescere. È stato un anno in cui ho letto e scritto pochissimo, ma non voglio
farmene una colpa, le colpe appesantiscono il viaggio ed io ho deciso di andare
lontano, anche se la meta sembra ancora sconosciuta.
Porca miseria se non viviamo tempi assurdi, difficili da
catalogare e comprendere senza lamentarsi o compiangersi! Le certezze ci si sfasciano in mano, i sogni si
allontanano senza di noi, le cose che avevamo diventano inutili e quelle che
vorremmo inaccessibili, ma in mezzo a tutte le difficoltà c’è una sola grande
crisi che mi spaventa più di ogni altra: la delusione. Dopo la delusione, la
resa.
È lì che tutto finisce, ma io non voglio che finisca nulla. Non
resta che credere ancora in qualcosa, con determinazione e stupidità se serve.
Voglio
credere che le persone che mi hanno ferito siano state un passaggio necessario
per essere grata a chi mi amerà. Voglio credere che il desiderio di imparare e
ricominciare siano uno strumento per continuare a sorprendermi. Voglio credere
che quello che mi manca sia un pretesto per costruire con più energia e che non
sarà avere di più a rendermi ricca.
Non so se mi riuscirà allo stesso modo credere ancora nella
politica, non in questa per lo meno, ma posso sperare che voci come quella di
Pepe Mujica siano ascoltate con maggiore interesse e partecipazione e si
diffondano laddove diventi evidente a tutti che il cambiamento è l’unica
risposta possibile alla crisi, e questa non è la tragedia, la tragedia sarebbe
rifiutarlo.
Buon Natale e buon anno, qualunque sia la gioia che
desideriate ricevere.
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