Ci sono gesti che vedi fare per una vita intera e non sai
mai se e quando il Destino ti metterà nelle condizioni di ripeterli.
Nell’incertezza su cosa fare “da grande” sono passata
attraverso molti di quei gesti spiati lungo il corso della mia vita. Osservavo, senza
sapere che stavo imparando.
È così che sono cresciuta, moltiplicando i miei
gesti, perfezionandoli, sperimentando la sensazione di essere dall’altra parte.
In molti luoghi diversi.
Apparecchiare,
su un lungo bancone di legno massiccio, il piattino e il cucchiaino per il caffè.
Pesare le
mele su una bilancia e stimare il prezzo con la calcolatrice.
Annotare un ordine
sul bloc notes, inventando un personale codice di abbreviazione.
Incartare la
pizza rossa (quanto mi piaceva osservare la precisa rapidità di chi incartava
la pizza!).
Battere uno
scontrino.
Tagliare i formaggi (rischiando ogni volta di tagliarmi un dito).
Affettare il
pane. Ecco, c’è qualcosa di sacro e potenzialmente perfetto nel tagliare il pane per
qualcuno che sta per acquistarlo dalle tue mani, e sai che lo porterà a casa e
lo condividerà con la sua famiglia. Voce del verbo: sfamare. Io sono patologicamente imperfetta, quindi i
miei tagli di pane a volte tacciono imbarazzati; chiedo scusa, perché riconosco
una colpa, quasi un’involontaria mancanza di rispetto. Non mi resta allora che
ripetere quel gesto cercando ogni volta di redimermi.
Quello che
ho capito, di tutti questi gesti spiati e replicati, è che dietro la geometria
di ognuno di essi c’è un’origine comune (a volte tradita, a volte rispettata…come
sempre capita nelle cose umane), ed è la cura. I gesti fatti con cura, per
quanto ripetuti mille e mille volte, non vanno mai persi. C’è sempre qualcuno
che li osserva, li apprende, li conserva, anche dimenticandoli. Poi, un giorno
qualunque, il Destino porterà il momento giusto per ricordarci che sono i
piccoli gesti il principio della cura.
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