Un amico su facebook si chiedeva
per quale ragione in Europa ci fosse tanto trasporto e partecipazione per la
rielezione di Barack Obama alle presidenziali degli Stati Uniti.
Considerato il
fatto che la sua politica estera non è stata affatto determinante per nessun
paese nel mondo, che talune politiche imperialiste continuano indisturbate e
che molte promesse non sono state mantenute (vedi la chiusura di Guantanamo),
il mio amico si sorprende dell’ondata emotiva che ancora, dopo quattro anni,
sospinge la carriera di Obama, perfino dal vecchio continente.
Pur con qualche
giorno di ritardo rispetto alla sua domanda, proverò a dargli la mia modesta
risposta.
Leggendo la lunga lista dei “non
fatti” di Obama che il mio amico ha pubblicato sul suo status, mi sono trovata
per un attimo a pensare lo stesso: “bé in effetti…la lista è lunga”. Però sono
andata oltre, ho capito che sfortunatamente, nonostante l’entusiasmo di quattro
anni fa quando sulla scena politica mondiale è apparso l’uomo nuovo, non è e
non sarà mai un solo uomo a fare la differenza su quello che si potrebbe e si
dovrebbe risolvere nel pianeta. La fame nel mondo, gli eterni conflitti in
medio oriente, l’emergenza ambientale, il traffico di droga, ecc. ecc. ecc.
Non
può un uomo solo fermare l’avanzata di determinati meccanismi radicati e
incancreniti, per quanto egli sia a capo della nazione “più potente del mondo”
e per quanto egli sia lungimirante e capace. Non potrebbe farlo in tempi di
prosperità (per la serie: qui tutto bene, la sanità funziona, tutti i miei
concittadini hanno un lavoro, l’istruzione è motivo di vanto, i diritti di donne e
uomini sono perfettamente allineati, sai che faccio adesso? Salvo il mondo!),
figurarsi in tempi di crisi, figurarsi con la Camera in mano ai conservatori.
Comunque, non sono qui a farmi
gli affari (interni o internazionali) di Obama, anche perché non ne sono
proprio all’altezza. Sono qui per provare a rispondere al mio amico: perché
ancora tanta emozione?
Lui, il mio amico, dice che è
colpa dei media, di una cultura filo-americana imperante e imprescindibile; io
dico che è ben altro. Certo gli Stati Uniti sono evidentemente al centro della
nostra attenzione sociale e culturale, senza che sia un bene o un male, finisce
che leggiamo autori americani, ascoltiamo musica americana, guardiamo film
americani, seguiamo giornalisti e sociologi americani, sfruttiamo quotidianamente
la tecnologia americana. Facciamo che mi fermo qui. Avete capito. Ma
l’emozione è un’altra cosa. L’emozione può certo essere suggestionata e per
quanto mi riguarda mi suggestiona ad esempio un leader carismatico, un uomo con
una visione dei tempi capace di spronare tutti ad ottenere il meglio, qualsiasi
sia il meglio a cui aspiriamo.
(Vi dice niente Steve Jobs?).
Come se la sua visione non fosse
abbastanza coinvolgente quando parla di opportunità, di diritti e di
uguaglianza (altro nome buttato lì, Kennedy?), Obama sa parlare. E io invidio
gli americani che possono votare un candidato che dia peso e valore e
consistenza alle parole. Mi guardo intorno e cosa ho invece, io? Un leader che
infarcisce i suoi discorsi di parolacce, un altro che non conosce i congiuntivi
e si perde a metà discorso perché la parole s’impigliano e si strappano (e
vorrebbero persino farlo presidente della Repubblica!!), un altro ancora che
procede per ridicole metafore che diventano comici tormentoni, per non parlare
di quelli che hanno costruito una carriera ventennale su slogan e retorica (non
quella di Cicerone, ma proprio della prevedibile banalità da mercante di strada
a cui tutti hanno concesso i propri risparmi).
Le parole infiammano, le parole
sono pericolose (lo sanno bene quelli che le hanno usate per aizzare le guerre),
le parole sono eccitanti. E qui il mio amico probabilmente direbbe che le
parole non bastano, servono le azioni. E gli do ragione, mi auguro che nei
prossimi quattro anni seguiranno azioni valide a smentire il suo attuale
scetticismo, aggiungo però che le parole di entusiasmo e incoraggiamento
dobbiamo prenderle tutti noi, coltivarle nella nostra terra del quotidiano e
fare in modo che quei principi di giustizia, equità e progresso siano la
materia del nostro vivere civile, ovunque siamo. Credo anche che di fronte alla
paura e allo scoramento sia necessario avere la memoria per recuperare quelle
parole e farci guidare da esse. A questo servono i leader, non solo a risolvere
i problemi del pianeta (in tal caso si, dovremmo votarlo tutti, anche noi
europei), ma ad entusiasmarci, ad emozionarci e farci sentire parte di una
società civile che dobbiamo essere noi a migliorare. Ma se tutto questo non
bastasse, vuoi mettere il sollievo di non trovare alla Casa Bianca un Romney pronto
a fare gli interessi di pochi ricchi, preprare una nuova guerra, aprire la diga del Tea party e
retrocedere un Paese che passo passo sta andando avanti (molto più di noi,
ahimé)? Questa però è un’altra storia.
1 commento:
...una "grande" di nome e di fatto... come sempre!!!
baci
Iò
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