Non prego,
perché non credo.
Non ho
votato alle primarie, perché non credo.
Con questo non
voglio certo dire che aspetti il messia in politica, quel che intendo è che la passione stimola le azioni, ed esse, a loro volta, alimentano la
passione. Alla base di tutto c’è l’innegabile desiderio di credere. Credere che
questa sia la volta buona, credere che ai sacrifici segua una ricompensa,
credere che avere aspettative sia un modo di desiderare.
Se non credo non mi
aspetto nulla, se non mi aspetto nulla non desidero, se non desidero non ho
passione, se non ho passione, semplicemente, non agisco. Non prego, non voto,
non mi innamoro.
Un po’ come la canzone di Branduardi, quel che siamo e quel
che facciamo è tutto parte di una medesima catena indistruttibile.
Avevo anche
deciso che alle prossime politiche non avrei votato (una bella scheda annullata
con tanto di sonora pernacchia), ma ci sto già ripensando, come quelli che non
credono nell’oroscopo ma lo leggono lo stesso, non si sa mai. Ecco, il non si sa mai non ho capito se sia l’estrema
salvezza, l’ultimo filo di un’occasione che sarebbe meglio non sprecare, o l’alibi
di chi poi dirà: tanto lo sapevo che andava a finire così. Il pessimismo non mi
piace, non mi sta bene addosso, sbatte con il sorriso. Per questo lo evito
accuratamente, se da qualche parte tira un vento di “se può andar male, andrà
male”, io cambio direzione. Perché già mi tocca credere in poche cose, se in
più quelle poche devono essere contaminate dal sospetto, tanto vale diventare
pessimisti. Ma non ci riesco, combatto l’abbrutimento molto più di quanto
cerchi di rendermi bella. Non mi resta che scovare le passioni in grado di
mettermi in agitazione. Non mi resta che credere in quello che vedo, che tocco,
che respiro. In quello che sogno, anche se non lo vedo, non lo tocco e non lo
respiro, ancora.
Va bene, andrò a votare alle prossime politiche e pregherò Dio
che tutto vada per il meglio!
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