Il problema non è vivere in questo Paese, ma convivere con
questo paese.
Perché non è mica facile mettere insieme i pezzi delle nostre piccole
esperienze, gioire o deprimersi e poi conciliare tutto con il rumore che viene
da fuori. L’Italia fa rumore, a volte un fastidioso sottofondo, altre volte un
frastuono assordante (sempre fastidioso).
Quello che succede è che magari ti
capita di riuscire a raggiungere un traguardo inseguito con fatica e sul più bello trovi
sempre chi cerca di farti ammalare o ti fa lo sgambetto. Succede che magari
finisci il romanzo a cui hai dedicato pensieri, energie, ore infinite e per uno
strano destino vai anche a vivere da solo e allora ti dici che forse, in fondo,
qui ci puoi stare, almeno un altro po’, forse puoi costruire
anche tu una piccola abitazione felice, ma lo senti, lo sai che quel rumore, là
fuori, non ti lascerà mai completamente in pace, ti ricorderà che questo è un Paese di
truffatori e indifferenti, di ignoranti arricchiti con la tua povera speranza,
di politici che non sanno parlare e cittadini che non sanno scrivere, e sai che
tu avrai sempre qualcosa in più di loro: la vergogna.
Io ne ho in
abbondanza e come sempre c’è a chi troppo e a chi niente, chissà, magari metto
un annuncio, la vendo o la regalo, tanto per ridistribuire un po’ le ricchezze!
“Offresi vergogna, usata ma in perfetto stato, anche perché
tende a rinnovarsi settimanalmente.”
In spagnolo si dice “verguenza ajena”, ovvero provare
vergogna per gli altri, al posto degli altri, ed io mi sento così. Visto che
qui nessuno si vergogna delle proprie malefatte (anzi ne prova anche uno
spudorato orgoglio), finisce che qualcun altro (ad esempio quelli come me) si
fa carico della vergogna altrui, ma adesso ne ho troppa, non so che farci! Dove la metto? Per di più sto per traslocare e non ho mica tanto spazio, ma se
anche lo avessi, ma perché devo tenerla tutta io?
La vergogna è come la
polvere, si accumula e cambia il colore delle cose.
La mia casa invece vorrei
che fosse colorata, silenziosa (al massimo popolata da un allegro vociare di
amici e musica), piena di libri, conquiste, speranze e opportunità. Vorrei che non
ci fossero vergogna, colpa, né meschinità. Niente rancori o delusioni. Per le
sconfitte va bene, lascerò un cassetto, perché nella vita vanno considerate,
idem per la rabbia, ma in balcone, così prende aria e si raffredda in fretta. Vorrei
un vaso per la fantasia e una coperta per trovare riparo. Vorrei sorrisi alle
pareti e stelle sul soffitto, dolcezze in cucina e in camera da letto e uno
zerbino per staccarsi di dosso sporcizie e cattiverie.
Mi piace accogliere gli amici, ma terrei fuori i collerici,
i lamentosi e i disillusi, perché so che è tutto difficile, ma niente andrà
meglio se ci si porta dietro il peso della rabbia, la cantilena della noia e lo
scheletro dei sogni.
Forse suona presuntuoso, però mi piacerebbe abitare in Italia se l’Italia assomigliasse
un po’ di più alla mia idea di casa, purtroppo quel che mi resta è un nido da
proteggere e un sentimento di vergogna da svendere e in questo fragile confine, tra il dentro e il fuori, cercare di
diventare la migliore me possibile, perché poi, purtroppo o per fortuna, l’Italia
siamo noi.
p.s.
un’amica mi ha fatto notare che questo blog ha perso la
spensieratezza dei giorni newyorkesi, forse è arrivato il momento di dare una
spolverata in giro e che siano almeno i miei desideri a rimettersi in viaggio, partendo
da una casa nuova.
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