martedì 9 ottobre 2012

L'ardua convivenza



Il problema non è vivere in questo Paese, ma convivere con questo paese. 
Perché non è mica facile mettere  insieme i pezzi delle nostre piccole esperienze, gioire o deprimersi e poi conciliare tutto con il rumore che viene da fuori. L’Italia fa rumore, a volte un fastidioso sottofondo, altre volte un frastuono assordante (sempre fastidioso). 
Quello che succede è che magari ti capita di riuscire a raggiungere un traguardo inseguito con fatica e sul più bello trovi sempre chi cerca di farti ammalare o ti fa lo sgambetto. Succede che magari finisci il romanzo a cui hai dedicato pensieri, energie, ore infinite e per uno strano destino vai anche a vivere da solo e allora ti dici che forse, in fondo, qui ci puoi stare, almeno un altro po’, forse puoi costruire anche tu una piccola abitazione felice, ma lo senti, lo sai che quel rumore, là fuori, non ti lascerà mai completamente in pace, ti ricorderà che questo è un Paese di truffatori e indifferenti, di ignoranti arricchiti con la tua povera speranza, di politici che non sanno parlare e cittadini che non sanno scrivere, e sai che tu avrai sempre qualcosa in più di loro: la vergogna. 

Io ne ho in abbondanza e come sempre c’è a chi troppo e a chi niente, chissà, magari metto un annuncio, la vendo o la regalo, tanto per ridistribuire un po’ le ricchezze!
“Offresi vergogna, usata ma in perfetto stato, anche perché tende a rinnovarsi settimanalmente.”
In spagnolo si dice “verguenza ajena”, ovvero provare vergogna per gli altri, al posto degli altri, ed io mi sento così. Visto che qui nessuno si vergogna delle proprie malefatte (anzi ne prova anche uno spudorato orgoglio), finisce che qualcun altro (ad esempio quelli come me) si fa carico della vergogna altrui, ma adesso ne ho troppa, non so che farci! Dove la metto? Per di più sto per traslocare e non ho mica tanto spazio, ma se anche lo avessi, ma perché devo tenerla tutta io? 
La vergogna è come la polvere, si accumula e cambia il colore delle cose. 
La mia casa invece vorrei che fosse colorata, silenziosa (al massimo popolata da un allegro vociare di amici e musica), piena di libri, conquiste, speranze e opportunità. Vorrei che non ci fossero vergogna, colpa, né meschinità. Niente rancori o delusioni. Per le sconfitte va bene, lascerò un cassetto, perché nella vita vanno considerate, idem per la rabbia, ma in balcone, così prende aria e si raffredda in fretta. Vorrei un vaso per la fantasia e una coperta per trovare riparo. Vorrei sorrisi alle pareti e stelle sul soffitto, dolcezze in cucina e in camera da letto e uno zerbino per staccarsi di dosso sporcizie e cattiverie.
Mi piace accogliere gli amici, ma terrei fuori i collerici, i lamentosi e i disillusi, perché so che è tutto difficile, ma niente andrà meglio se ci si porta dietro il peso della rabbia, la cantilena della noia e lo scheletro dei sogni. 
Forse suona presuntuoso, però mi piacerebbe abitare in Italia se l’Italia assomigliasse un po’ di più alla mia idea di casa, purtroppo quel che mi resta è un nido da proteggere e un sentimento di vergogna da svendere e in questo fragile confine, tra il dentro e il fuori, cercare di diventare la migliore me possibile, perché poi, purtroppo o per fortuna, l’Italia siamo noi.

p.s.
un’amica mi ha fatto notare che questo blog ha perso la spensieratezza dei giorni newyorkesi, forse è arrivato il momento di dare una spolverata in giro e che siano almeno i miei desideri a rimettersi in viaggio, partendo da una casa nuova.

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