Oggi Repubblica ha pubblicato un interessante articolo di Stefano
Bartezzaghi dedicato al “brevismo”. Cito testualmente: “Gli automobilisti più veloci sono quelli che fanno
a meno del codice della strada: allo stesso modo, il brevismo fa a meno della
cultura. Che non è certo un codice, né è un manierato elogio della lentezza, ma
che solo tramite la lentezza viene acquisita e solo si produce tramite la lenta
formazione e sedimentazione delle idee.” L’urgenza di vivere ci invita a
superare i confini, affrontare i limiti, slegare le mani; la fretta, al
contrario, è la peggior nemica dell’urgenza, perché ci lascia inciampare, a
volte ci lega i piedi, facendoci dimenticare i perché con cui siamo partiti.
Siamo stati addestrati alla fretta, al brevismo, alla corsa: chi
arriva primo vince, fa niente che il premio non sia quello desiderato,
soprattutto, che sia senza un perché. Siamo quelli del tutto e subito, ma poi
siamo rimasti senza niente. Finite le scorte di speranze, poche gocce ancora di
ambizione e con i sogni ci abbiamo
ripulito le stanze segrete dei nostri pensieri più intimi.
Siamo a metà strada,
siamo i trentenni del non è ancora troppo tardi…ma siamo un po’ persi. O forse
no, forse guardiamo solo dal lato sbagliato della strada. Credevo di non avere
nulla, mi erano rimaste attaccate addosso le parole e la folle e sconsiderata
convinzione che con quelle parole avrei trovato la mia destinazione. Tutto qui,
nient’altro. E poi d’un tratto ho visto che le mani libere è tutto quel di cui
ho bisogno, perché solo con le mani libere posso prendere la mano di qualcun
altro; solo con le mani libere posso indicare quel che voglio condividere; solo
con le mani libere posso cogliere le opportunità. Avere tutto non mi servirebbe
a nulla, perché avrei paura di perderlo, terrei le mani strette e la gente
lontana. Ho provato a correre, ma mi è servito solo a perdermi, o cadere.
Imparare
richiede pazienza, creare pretende calma, meglio ancora armonia.
Il mio oroscopo filosofico questa settimana dice “il vuoto che
sorregge ogni forma non vi sfugge, ma invece di apparire insensato, abissale,
risuona come pausa di silenzio, tra una melodia e l’altra. Tra vuoto e forma
non c’è contrasto, discontinuità.” Ecco, abbiamo avuto paura che qualcosa ci
sfuggisse, c’era così tanto da tenere d’occhio: viaggi da organizzare, gente da
conoscere, cose da fare, parole da inventare, avventure da consumare prima che
ci consumassero troppo; ma il vuoto che tanto abbiamo temuto non era assenza,
era melodia muta, non era insensatezza, era completezza, non era un precipizio,
ma un mare da nuotare. Forse non vivo la vita che da ragazzina immaginavo avrei
vissuto, forse è vero che non posseggo molto, è vero persino che devo ancora
consumare molte avventure e conoscere gente e inventare parole e fare cose, ma
tutto quel che ho è un silenzio su cui danzare e le mani libere per farlo
insieme. E le parole, quelle anche, con la folle e sconsiderata convinzione che
con loro troverò la mia destinazione.
Chiude Bartezzaghi così il suo articolo:"E se molte famiglie dei ricchi durano due o tre generazioni, la specie ha certo ambizioni che vanno un po' più in là."
Tutto dipende da dove posiamo lo sguardo.
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