lunedì 14 maggio 2012

La ragione inattaccabile della gentilezza


In 10.000 hanno sfilato per le strade di Mosca per contestare Putin e dimostrare che anche loro ci sono, esistono e chiedono giustizia. Non dimostranti pronti allo scontro, ma persone qualunque, cittadini e intellettuali, tutti in fila dietro di loro, quelli alla guida del corteo: gli scrittori.
La polizia era schierata, armi e manette e portata di mano, perché manifestare, a Mosca, è l’inizio di una battaglia certa. Ma la polizia, questa volta, è stata disarmata dalla libertà di pensiero. Quel che ha di geniale questa protesta è la semplicità. Una lunga marcia silenziosa, senza slogan, né cori, né cartelloni, né bandiere, solamente una lunga marcia “gentile”.
Ovviamente non intesa come atto di cortesia nei confronti del regime, ma come bolla di silenzio volta ad amplificare il caos dell'ingiustizia.
Non si può intervenire contro chi si limita a passeggiare, ma il motivo di quella “passeggiata”, tra le righe del pensiero libero, era chiaro a tutti, ai manifestanti e a chi li vedeva sfilare. Le ragioni passavano dall’uno all’altro quasi telepaticamente. Il termine “pacifico” è stato anch’esso usurato, insieme a tante altre parole che la storia ha abusato. Questa manifestazione non era semplicemente pacifica, era quasi ingenua, e per questo inattaccabile, perfetta, speriamo efficace.
Mi sono emozionata questa mattina leggendo un articolo che ne parlava. Al centro della pagina la foto di un fiume in piena di persone, idee, scrittori, poeti e intellettuali che non immaginavano di attirare così tanta gente intorno a sé. Eppure eccoli lì, talmente inoffensivi da essere potentissimi, le loro menti erano armate di ribellione e il loro corpo, la loro presenza fisica, ne era la più ovvia testimonianza. Quando la rabbia riesce solo a distruggere e a farsi ammazzare, quando la prepotenza soffoca e l’umiliazione spegne, improvvisamente trovi che, forse, un altro mo(n)do c’è.

Poco prima avevo letto, su quello stesso giornale, alcuni articoli sull’addio di Alessandro Del Piero alla Juventus. Seppure sia romanista per nascita e scelta, ho sempre apprezzato Del Piero, sia umanamente che calcisticamente. Ne apprezzo la classe, l’intelligenza, l’ironia. E’ qualcosa che uno si porta dietro in quello che fa, che sia correre dietro ad un pallone o rilasciare un’intervista. E lui è uno che sa parlare, sa scegliersi le parole senza fretta, sa dare un peso a ciò che dice e fa, e in un ambiente fatto sempre più di protagonismi, faide, pretese e imbrogli (sì certo, anche della Juve, si sa), uno così lo noti per forza. Alla fin fine, se devo descriverlo mi viene da dire: sembra una persona “gentile”.

Eccolo qui, il collegamento quanto meno bizzarro, fra gli articoli che ho letto questa mattina a colazione. Una manifestazione “gentile” e garbata e apparentemente inoffensiva per le strade di Mosca, e l’addio di un calciatore “gentile” alla squadra che per diciannove anni è stata la sua casa. Senza rabbia manifesta, senza troppe cerimonie o spiegazioni, senza riti plateali, c’è a quanto pare un’altra via per essere presenti, e forse, mi chiedo, è proprio quest’apparente assenza di peso, questo garbato silenzio, a significare molto più di tante parole abusate, a fare la differenza. Forse, un altro mo(n)do c’è.

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