In 10.000 hanno sfilato per le strade di Mosca per contestare Putin e
dimostrare che anche loro ci sono, esistono e chiedono giustizia. Non
dimostranti pronti allo scontro, ma persone qualunque, cittadini e
intellettuali, tutti in fila dietro di loro, quelli alla guida del corteo: gli
scrittori.
La polizia era schierata, armi e manette e portata di mano, perché manifestare,
a Mosca, è l’inizio di una battaglia certa. Ma la polizia, questa volta, è
stata disarmata dalla libertà di pensiero. Quel che ha di geniale questa
protesta è la semplicità. Una lunga marcia silenziosa, senza slogan, né cori,
né cartelloni, né bandiere, solamente una lunga marcia “gentile”.
Ovviamente non intesa come atto di cortesia nei confronti del regime, ma come bolla di silenzio volta ad amplificare il caos dell'ingiustizia.
Ovviamente non intesa come atto di cortesia nei confronti del regime, ma come bolla di silenzio volta ad amplificare il caos dell'ingiustizia.
Non si può intervenire contro chi si limita a passeggiare, ma il
motivo di quella “passeggiata”, tra le righe del pensiero libero, era chiaro a
tutti, ai manifestanti e a chi li vedeva sfilare. Le ragioni passavano dall’uno
all’altro quasi telepaticamente. Il termine “pacifico” è stato anch’esso usurato,
insieme a tante altre parole che la storia ha abusato. Questa manifestazione
non era semplicemente pacifica, era quasi ingenua, e per questo inattaccabile,
perfetta, speriamo efficace.
Mi sono emozionata questa mattina leggendo un articolo che ne parlava.
Al centro della pagina la foto di un fiume in piena di persone, idee, scrittori,
poeti e intellettuali che non immaginavano di attirare così tanta gente intorno
a sé. Eppure eccoli lì, talmente inoffensivi da essere potentissimi, le loro
menti erano armate di ribellione e il loro corpo, la loro presenza fisica, ne
era la più ovvia testimonianza. Quando la rabbia riesce solo a distruggere e a
farsi ammazzare, quando la prepotenza soffoca e l’umiliazione spegne,
improvvisamente trovi che, forse, un altro mo(n)do c’è.
Poco prima avevo letto, su quello stesso giornale, alcuni articoli
sull’addio di Alessandro Del Piero alla Juventus. Seppure sia romanista per nascita e scelta, ho sempre apprezzato Del Piero, sia umanamente che
calcisticamente. Ne apprezzo la classe, l’intelligenza, l’ironia. E’ qualcosa
che uno si porta dietro in quello che fa, che sia correre dietro ad un pallone
o rilasciare un’intervista. E lui è uno che sa parlare, sa scegliersi le parole
senza fretta, sa dare un peso a ciò che dice e fa, e in un ambiente fatto
sempre più di protagonismi, faide, pretese e imbrogli (sì certo, anche della
Juve, si sa), uno così lo noti per forza. Alla fin fine, se devo descriverlo mi
viene da dire: sembra una persona “gentile”.
Eccolo qui, il collegamento quanto meno bizzarro, fra gli articoli che
ho letto questa mattina a colazione. Una manifestazione “gentile” e garbata e
apparentemente inoffensiva per le strade di Mosca, e l’addio di un calciatore “gentile”
alla squadra che per diciannove anni è stata la sua casa. Senza rabbia manifesta,
senza troppe cerimonie o spiegazioni, senza riti plateali, c’è a quanto pare un’altra
via per essere presenti, e forse, mi chiedo, è proprio quest’apparente assenza
di peso, questo garbato silenzio, a significare molto più di tante parole
abusate, a fare la differenza. Forse, un altro mo(n)do c’è.
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