Il più delle volte vai al cinema a vedere un film.
Qualche volta vai al cinema perché il film ti veda.
Perché il film sappia che ci sei, che non volti la testa dall’altra parte. Vai a vedere quel film non per conoscere una storia, ma per sopportarla. La storia la conosci, c’eri quand’è accaduta, magari eri più giovane, andavi ancora all’università, magari eri preso dal giorno del tuo compleanno, quel 22 luglio, ma non ti sei mai davvero chiesto che cosa sia successo, come sia successo. Hai sperato di non dover mai immaginare. Fino al giorno in cui qualcuno non ti fa il favore di spingere un po’ più in là la tua immaginazione, e allora la vedi, la verità. Ogni colpo, ogni manganellata, ogni umiliazione, ogni sentenza negata è un colpo, una manganellata, un’umiliazione, un’ingiustizia per ognuno di noi, ogni cittadino italiano. Perché sono stati cittadini italiani a infliggerle sotto le vesti dell’arcangelo ed è stato lo Stato Italiano a negarle, nell’immondo silenzio dell’ingiustizia.
Resti attento, durante la proiezione del film, non perdi un urlo, uno sguardo, una parola, un gesto, e quando torni a casa guidi come fossi immobile, hai fretta di arrivare a vomitare, per liberarti da quel nodo di angoscia e rabbia che non ti fa respirare bene. Vomiterai e tornerai a respirare e col tempo, forse, quel film sarà solo un film, ma in fondo speri di salvare tutta questa rabbia, questa vergogna, perché è il volto del cittadino che non si gira.
Il tempo passa, in quella sala buia, le immagini scorrono, il film è girato benissimo, e tra tutto ciò che provi e pensi c’è una sola domanda che ruota vorticosa nell’aria, come fosse una bottiglia di vetro destinata a infrangersi nell’asfalto, ti chiedi solo: perché?
Perché la squadra che dovrebbe difenderti e custodirti si trasforma d’un tratto in un branco accecato dall’odio? Perché il tuo Paese sguazza nell’impunità? Perché ti trovi costretto a credere l’incredibile, che il Paese che ha accolto i tuoi genitori in fuga da un Paese di torturatori e assassini, si possa trasformare anch’esso in uno Stato carnefice e impunito? Vivrai, cittadino, con la rabbia di non trovare mai una risposta. E vivrai lottando per non cedere alla convinzione che siano tutti uguali, tutti ugualmente pericolosi. Perché sai che non lo sono, sai che non puoi ridurre tutto ad un colore oscuro, e mentre lotti per salvare il salvabile, per avere ancora fiducia, ripensi a Stefano Cucchi e a tutti quelli come lui di cui non saprai mai nulla, a tutte quelle storie che nessuno ti racconterà mai, a tutte le rabbie, le ingiustizie, le umiliazioni che non rendono il tuo Paese la terra delle libertà democratiche in cui speravi di abitare.
Dopo aver vomitato cercherai da te quella risposta che nessuno ti dà, perché il tuo spirito ha bisogno di una salvezza, una qualsiasi. “Diaz” non è un film, è storia. "Diaz" mi riguarda.
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