domenica 18 marzo 2012

La sindrome della bellezza

Il nuovo romanzo a cui (senza troppa fretta) sto lavorando parte, ruota, e forse arriverà, al senso della bellezza. Se un senso, c'è.
(E qui potrebbe partire un viaggio devastante nel mondo della semiotica, in cui non mi avventuro nemmeno per sogno). Dico questo solo per motivare il mio recente interesse per La Bellezza o per lo meno, per come la nostra società moderna la concepisce, la vive o peggio ancora, la subisce. Insomma, ci sto ragionando.
Poi ho visto "Young adult", con la bellissima Charlize Theron. Mi aspettavo di vedere un altro film su una generazione di Peter Pan al femminile, o una ennesima lettura della donna single, in carriera (e triste). Ne sono uscita alla fine convinta che si tratti soprattutto di un film sulla bruttezza, peggio ancora sull'abbrutimento, il che non fa che stimolare ulteriormente la mia curiosità verso ciò che intendiamo per "bello".
Il tema va molto al di là dell'ovvio principio per cui "quel che conta è la bellezza interiore" oppure "il bello è soggettivo". A tal proposito i proverbi popolari non mancano. Quel che mi chiedo è: perché il bello è in grado di nutrirci e distruggerci?

Ogni epoca ha avuto la sua apologia della bellezza, a testimonianza che la ricerca della bellezza è un istinto dell'essere umano. La nostra epoca è riuscita in qualche modo a "meccanicizzare" gli istinti, a trasformarli in artifici. La pornografia e la pubblicità lo hanno fatto col sesso. La televisione lo ha fatto con i sentimenti. L'industria alimentare (nel bene e nel male) con il cibo. Internet ha "sintetizzato" il linguaggio. E così via. Che ne è quindi, della bellezza? Poverina, è stata messa in mezzo. Da forma di espressione e fonte di emozione è diventata inespressiva, apatica.
La bellezza plastica ha rinunciato all'emozione, l'ha ammutolita, pensando che fermare il tempo fosse l’arma per governare con bellezza, ma senza emozione la bellezza non ha valore.
Come se non bastasse la bellezza di plastica ha brutalizzato la bellezza pura, creando un mercato di orrori e solitudini infinite. E' così quindi che, a mio avviso, una certa idea di bellezza si è distrutta. Ma come sempre, da una distruzione emerge una rinascita. Se la bellezza scatena invidie, provoca anche innamoramenti. Si tortura, eppure si compiace. Forse è proprio questa taciuta contraddizione ad affascinarci tanto.
L’idea che essa possa essere rassicurante e inafferrabile, familiare e inconoscibile. E’ quella la bellezza che ci portiamo dentro e che andiamo cercando, soprattutto che aspettiamo venga trovata in noi. Non è infatti lo specchio a darci la misura della nostra bellezza, ma è lo sguardo dell’altro a farlo. Quante donne meravigliose non si sono accontentate della loro bellezza, perché non c’era, per loro, uno sguardo che gliela raccontasse?

La bellezza è un sentimento, ed è ricominciando a sentire che ritroveremo il piacere di ammirare quel che è bello, a modo suo. Già, perché poi la bellezza non esiste in un modo solo, si moltiplica, si scompone, si altera, si contamina, è l’unica certezza di fronte al brutto che si somiglia sempre. Paradossalmente la bellezza è irrisolta, mentre è la bruttezza ad essere conclusa in sé. Che cosa è brutto? Il dolore. Il dolore abbrutisce. Una ferita, una cicatrice, una perdita, una sconfitta. Gli uomini e le donne senza pietà, senza gioia, senza grazia. La società che nuota nel cinismo e nell’arroganza perde la sua dose di bellezza, le anime che dimenticano la loro origine umana si brutalizzano. La paralisi del brutto si contrappone al movimento inquieto e coraggioso del bello. Essere belli non è la risposta di cui abbiamo bisogno, ma la domanda da cui cominciare la scoperta.

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