Nevicherà a Roma oppure no? Molti romani se lo chiedono in queste ore, chi sperando in un verso e chi nell’altro. Ogni anno il meteo lo annuncia, poi quando nevica sul serio (anche poco) salta fuori chi si lamenta del traffico impazzito e dei romantici impazziti e cerca di trasformare quella polvere bianca in una lettura disincantata di un’epoca fanciullesca ormai sfuggita.
Ma in fondo in fondo anche loro, anche i cinici più convinti, si arrendono ad un sorriso nascosto e concedono un elogio alla bellezza della neve.
Un paio di anni fa ci fu una bella nevicata a Roma. Non come quella storica dell’85, che una generazione ancora ricorda come un miracolo unico e irripetibile negli anni dell’infanzia. Ma sufficiente per far impazzire traffico e romantici. Io la persi. Quella di due anni fa. Ero a New York e nonostante fossi ricoperta di neve un po’ mi dispiaceva perdermi quella romana. Quel senso di stupore per un avvenimento tanto incerto, destinato a durare solo qualche ora e per quello ancora più prezioso.
Vedere la città di marmi e sole farsi cotone.
La mia più vera e duratura esperienza con la neve risale proprio a quel gelido inverno newyorkese.
Sembrava zucchero a velo mentre dalla finestra del 28° piano la osservavo cadere. Zucchero su una torta gigantesca. Sembrava appena fatta, la città, quando sul manto stradale e lungo i marciapiedi ancora nessuno aveva calpestato quel soffice strato di neve fresca. Intatta, pulita, nuova di zecca. Tutta ancora da esplorare. La mia impronta ancora da lasciare.
Ma l’effetto più estraniante, il miracolo inaspettato, il regalo più bello che la neve fa alla città è il silenzio.
La neve isola il mondo sonoro, le metropoli ammutoliscono. Non lo dico sotto effetto di nostalgia incurabile, non sono vittima del ricordo romantico o della mitologia del passato lontano. E’ davvero così.
Lo notai allora e lo ricordo adesso. Attraversare Washington Square e sentire, improvvisamente, il silenzio. Tutto tace. Tutto resta in attesa. Tu cammini e potresti benissimo essere capitato, senza sapere come, dentro una di quelle palle di vetro che a girarle viene giù l’idea di neve. Ecco, è quell’idea lì che aspettiamo, che ci piace, che ci seduce. Nonostante il freddo, il traffico, il ghiaccio sull’asfalto. Quell’idea, è la neve che aspettiamo.
Il desiderio, un attimo prima che si realizzi.
Attendere, desiderare, scartare con cura quel momento, assaporare l’odore dell’aria nel preciso istante in cui il primo fiocco (che non è una goccia di pioggia) viene giù. Così avverti finalmente il peso dei tuoi passi, non l’eco dei tacchi, non l’asse di un pavimento incrinato, non l’andatura del corpo, ma il peso. Cammini con fatica, il fiato si fa corto, perché fa freddo e tu sei eccitato, e vorresti essere leggero…ma non troppo, perché il tuo peso è in rapporto con quell’entità soffusa che si spalanca tutto intorno a te.
Il tuo passo, la forma e il peso del tuo corpo sono il rumore che manca alla neve. Tu sei il suo suono, il suo battito, il suo respiro.
La neve si fa assenza, e tu ricominci.
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