Leon (mio nipote) ha due anni ed è in piena fase “IO”.
Io ne ho trentadue e non ne sono ancora uscita!
“Io” è una parola scomoda, quando mi accorgo di abusarne mi rimprovero da sola, perché è una parola sotto la quale crediamo di illuminarci, in realtà non è altro che un’ombra. Ci preoccupiamo mai della nostra ombra? Stiamo mai lì a vedere se sta bene, se ci fa sembrare migliori? Non credo. Tutt’al più ce ne preoccupiamo se disturba qualcuno che sta prendendo il sole, oppure se serve a qualcuno per ripararsene (come un bimbo che cerca di dormire).
“Io” in inglese si compone di una sola parola, per giunta sempre e solamente maiuscola. Un bel da fare per l’egocentrismo!
La società che ci cresce (e parlo al plurale intenzionalmente) ci ha fatto individui in mezzo alla folla. Forse perché presi uno alla volta è più facile gestirci. Forse perché da soli in mezzo alla folla ci accontentiamo di quel che ci sfama, non del sapore. L’identità comporta delle scelte, una selezione, la capacità di dire “no, grazie” …oppure, come diceva Bartelby, “Preferirei di no.”
Ho sempre pensato che ci si racconti meglio attraverso le scelte piuttosto che attraverso le spiegazioni, attraverso quel che si cerca, si ascolta, si osserva…mettendo in luce il mondo che attraversiamo e in cui perdendoci lasciamo delle impronte.
Quelle impronte sono le nostre fotografie, non sempre lusinghiere, non sempre ben riuscite, quasi mai in posa. “Io” sono quel che ho letto e il prossimo libro che sceglierò, i film che amo (anche quelli inconfessabili), i viaggi che mi hanno cambiato, le persone che ho respinto (anche senza saperne il perché), gli sguardi che ho cercato. Non chi siamo, quel che conta è la scelta.
Come fa Leon. Sa pronunciare poche parole. Tra queste “sì”, “no”, “mio” e le usa con molta coscienza, sa quello che vuole, sa cosa gli appartiene (la mamma, per esempio), cosa appartiene agli altri, quali piccole cose lo definiscono. Ha le idee chiare su cosa gli piace e su cosa proprio non accetta. A volte mi chiedo se sarà sempre così forte, se sarà sempre così facile per lui tracciare una linea fra quel che vuole e quello che potrebbe andare bene, se va bene agli altri.
In tutto questo mi chiedo se Facebook mi aiuta o mi danneggia nella presa di coscienza del mio viaggio. Facebook ci avvicina o ci inganna?
Facebook è la celebrazione dell’Io, che ci costringe persino nella ridicola pratica di parlare di noi in terza persona, come se fossimo spettatori di noi stessi.
Ci allena al monologo, con il grave rischio di distoglierci dall’ascolto. Allo stesso tempo però, e al contrario, offre un immenso potenziale di scambio, permette di far circolare idee, articoli,opinioni, musica, letteratura…”condividere” nonostante la natura di chiudersi in un racconto di sé quanto più possibile seducente.
E’ un’interessante contrasto questo e quanto più riuscirò a cercare e riconoscere le impronte degli altri, tanto più potrò trarre vantaggi da una rete di solitudini tra la folla.
Perché dare ascolto alla propria identità (altrimenti detto narcisismo) è certamente un difetto, ma anche un’opportunità (come tutti i difetti, se usati bene), nel momento in cui ci si prepara a vivere con gli altri. Perché poi l’io entra nel “noi” e lì il gioco si fa affascinante.
Lì tutti i difetti, i pregi, le manie, diventano onde di un movimento comune.
Lì prende forma una danza e quel che vediamo davanti a noi è l’altro, da seguire con i nostri passi. Una presa solida e un passo sicuro guidano i ballerini in un tango armonico e sensuale, in un valzer di giravolte in cui un solo centro non cede, noi.
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