Sentirsi stupidi emozionandosi guardando negli occhi la fotografia di una città come fosse il volto di un innamorato. Mi è capitato, ieri. La città, facile immaginarlo, è New York. La stupida, sono io.
Lo dico ufficialmente, sul web, sono una stupida. Sono così stupida da essermi “messa” con qualcuno che assomigliasse solo lontanamente al mio innamorato, tanto per conservare ancora, nelle emozioni e nelle ore affrettate del giorno, il ricordo di quei momenti vissuti insiemi. Per incrociare, quasi distrattamente, un ritratto e commuovermi senza che nessuno se ne possa accorgere.
Da lunedì ho cominciato a lavorare in una caffetteria che si profuma con il mito della grande mela, la città fotografata in bianco e nero, smagliante e un po’ old fashion.
Casualità, nostalgia, non so cosa mi ci abbia portato, forse una sorta di spensierata consolazione, la carezza su un ricordo, nella speranza di reinterpretarlo.
E poi, mentre oggi guidavo nel traffico, me lo sono chiesto, senza inibizioni, “ma questo grande amore per New York è forse un amore narcisistico?”. Perché magari, ad essere proprio onesta, non è tanto la città in sé ad emozionarmi così tanto, ma una sorta di amore per ciò che NY mi ha dato, per ciò che mi permette di essere, ancora in mezzo a tanti dubbi.
In una civiltà basata sull’egocentrismo, dove facebook è lo specchio in cui cerchiamo di innamorarci di noi stessi, forse (e sottolineo: forse) questo grande amore per una città lontana è l’eco silenzioso di ciò che quella città mi ha fatto capire. Che si può essere silenziosi nel caos, che si può correre senza avere fretta e rallentare il passo per raggiungere una destinazione, purché la destinazione sia ben chiara di fronte a noi.
Che si può essere unici in mezzo a milioni di altri come noi. E di quell’unicità ho fatto tesoro. Certamente tale unicità non mi rende né migliore né peggiore di molti altri, ma mi rende visibile a me stessa.
Questa credo sia la mia grande conquista. Tenermi ben presente, avere chiaro che quel che sono non devo lasciarlo andare perché resistergli è troppo difficile, perché tutta questa fatica non sembra valere a nulla.
La città che sembra inghiottire le persone, confonderle come formiche in una terra selvaggia, mi ha restituito, sotto le sue luci scintillanti, la consapevolezza che le vite accadono ciascuna a modo proprio, che non c’è una soluzione continua, inevitabile, imprescindibile. Ci sono molti modi per far accadere il nostro futuro e rischiare di sbagliare è un tentativo, proprio come tutti gli altri.
Amo New York, mi sento una newyorkese..ergo amo me stessa? Non è letteralmente così, le parole non sono calcoli, le emozioni non si risolvono in equazioni, ma l’impressione che un forma di amore per la mia storia sia incastrato in questa ossessione è verosimile, e devo ancora capire se il fatto di averlo constatato sia un beneficio, un’illuminante valutazione destinata a farmi redimere, o se sia un pericoloso riflesso di un suicidio indesiderato (come fu per Narciso).
Probabilmente, come sempre, la verità è nel mezzo.
“Piacersi” è un gioco che cominciamo da bambini, quando passiamo ore davanti allo specchio a cercare di capire se meriteremo l’amore del mondo, quando elemosiniamo attenzioni e collezioniamo facili complimenti.
“Amarsi” è una sfida che affrontiamo lungo tutta la vita adulta, attraversa periodi di delusione e rabbia e momenti di riconciliazione, mentre camminiamo come funamboli tra il rischio di autocompiacimento e il disprezzo per i nostri difetti e fallimenti.
La civiltà che stiamo facendo crescere è quella del “mi piace”, creiamo profili che forse non ci corrispondono, ma sembrano belli. Ci specchiamo nelle relazioni virtuali in cerca di facili complimenti.
L’amore è tutta un’altra cosa. Il piacere è una soddisfazione conclusa, si esaurisce in sé, l'amore è un desiderio costantemente inappagato.
Mi viene in mente "Romeo e Giulietta"
"La ricchezza del mio cuore è infinita come il mare, così profondo l'amore: più te ne do e più ne ho, perché entrambi sono infiniti."....forse non c'entra nulla, o magari sì....che in quel mare di amore e bisogno rischiamo di annegare, ma solo navigandolo ci ricordiamo di esistere.
Solo nella fatica sentiamo il dolore e la forza dei muscoli, solo nell'assenza ricordiamo ciò che merita la nostra dedizione.
Il piacere lo cerchiamo famelici, lo guardiamo sotto la luce accecante del sole (o dei riflettori), l'amore viene da dove non stavamo guardando, si appoggia sulle piccolezze a cui non davamo credito, si solidifica in un’emozione che solo dopo molto tempo diventa parte di noi stessi, tanto da non distinguersi fra quel che siamo e quel che resta del mondo.
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