venerdì 22 luglio 2011

L'effetto che fa

Che effetto fa arrivare a pronunciare quella fase che si è sempre odiata nella voce degli altri?
Orribile. E’ come il vuoto. Come perdere un pezzetto di verità, come tradirsi, come mentire, come lasciarsi morire continuando a respirare, convinti di aver respirato aria fresca e invece era la nostra insoddisfazione.
Non ho mai sopportato chi continua a ripetere che il Natale o i compleanni sono cose per bambini, che per gli adulti sono giorni come gli altri, e mi vergogno per averlo, chissà come, detto oggi, che è il mio compleanno. Stavo giustificando un’assenza, lo so, stavo mentendo perché mi sfuggiva una risposta onesta.
Arrancando mi sono aggrappata ad una risposta sgradevole, ho bruciato un pezzetto di leggerezza.

Sono strani ultimamente i miei compleanni, hanno perso un po’ di magia e forse questo significa che sono io ad averla persa. Mi ha chiamato mia zia, non la vedo da tanti anni, lei è un fuoco della mia vita, e come ho riconosciuto la sua voce sono scoppiata a piangere. Colpa del vuoto. La distanza. L’assenza.
Non considero il compleanno un momento per fare i conti con ciò che si è lasciato andare.
Ogni giorno facciamo i conti con ciò che lasciamo andare, è l’unico modo per continuare a viaggiare, per mantenersi agili, per capire cosa ci serve, per non perderci sotto un fardello di desideri non scelti. Mi conosco perché so che strada ho fatto. In quali case ho vissuto, con quali scarpe ho camminato, quali mani e voci e corpi e odori ho stretto a me. E conosco passo passo la distanza che mi separa da ciò che ho lasciato andare. Forse per ricordare dove sono, quanto ci vorrebbe, a voler fare un conto, per tornare lì a riprendere quel sogno, quella città, quell’amico, quel mestiere, quel paesaggio.
Contare i passi e nella conta ritrovare il bisogno di parole.

Mi sono accorta solo oggi quanto mi manchi scrivere, quanto bisogno ho di rivedere la mia meta.
Non credo dipenda dalla data, credo sia colpa di Erri De Luca. In un’intervista che ho letto poco fa dice
“le mie frasi non sono più lunghe del fiato che ci vuole a pronunciarle”. Un frase in mezzo a tante, sentite e lette in settimane, per mesi, e d’un tratto emerge la nostalgia. Per quel tempo di cura, dedizione, fatica, bellezza, in cui armare le parole e, scendendo in battaglia, costruire una storia.
Ho voglia di cura. Di curarmi, di curarci. Non perché siamo malati, ma perché siamo sensibili.
E’ il mio compleanno, ed è un giorno bellissimo.

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