Avevo voglia di ragionare sul cambiamento, sui limiti che davanti al cambiamento ci poniamo, sull’inevitabilità di cambiare o sul credo secondo cui nessuno cambi veramente. E poi su una domanda: l’Italia sta cambiando?
E così, come ormai si usa fare nei nostri tempi, ho “googolato” la parola cambiamento. Tanto per fissare un punto di partenza.
La prima pagina è dedicata agli aforismi sul cambiamento. Ce ne sono di molto belli e saggi, ma quello che ho scelto per cominciare a ragionare e scrivere è probabilmente il meno romantico di tutti, viene da Walt Disney e recita:
“L'unico modo per iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a fare".
Ammetto che mi ha sempre un po’ disturbato un certo modo aspro di affrontare la vita. Quell’atteggiamento del tipo “hai fatto metà del lavoro tuo” detto dai genitori ai figli che portavano un bel voto a casa. Quella visione incontentabile e brutalmente fattiva che aveva la consistenza delle rocce appuntite.
Ma ho scelto questa frase di Disney perché lui come pochi altri è stato l’uomo simbolo dell’immaginazione, il curatore dei sogni e delle favole della nostra infanzia, e una frase pratica e inequivocabile assume un tono morbido e sincero detto dal papà di Paperino (che è sempre stato più simpatico di Topolino).
Allora guardare a quella reazione collettiva che sembra emergere dagli italiani dalla prospettiva di “l'unico modo per iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a fare" mi sembra un giusto inizio.
Ma facciamo un passo indietro. Qual è la spinta al cambiamento? L’insoddisfazione o la curiosità? Forse per ognuno risiede in una ragione diversa. C’è chi cerca di cambiare per assecondare e compiacere gli altri, e forse lo fa mascherando un po’ le proprie reali intenzioni. C’è anche chi si accontenta di credere che in fondo non è possibile diventare altro, modificarsi profondamente, spostarsi oltre, e crede che restare se stessi (una sola versione di se stessi) sia la cura del tempo e così si arrende ad un destino pulito.
Poi ci sono quelli che al contrario non accettano la stabilità, né quella delle emozioni, né dei luoghi, delle professioni o del carattere (ogni riferimento a persona è puramente casuale). Loro sono quelli che riconoscono il merito dell’inquietudine, che comprendono (e forse qualche volta subiscono di malavoglia) il potenziale dell’incertezza.
La verità forse è che siamo tutti geneticamente programmati per cambiare, è nelle cellule della nostra evoluzione, dell’apprendimento, della dimenticanza.
Andiamo avanti perché non possiamo fare altrimenti. E in questa costante progressione è ben radicata l’esigenza di stabilizzarci, di affidarci ad una sicurezza, persino a quella che ci viene proposta dall’esterno, offerta su un piatto d’argento. “Voi non preoccupatevi di nulla, lasciate fare a me. Vi renderò ricchi, belli, giovani per sempre. Voi…godetevi la pubblicità”.
E così gli italiani si sono affidati. Sembrava una soluzione facile. Non pensarci è quello che vorremmo tutti. Ma a furia di smettere di pensare ci siamo dimenticati che così smettevamo anche di agire, smettevamo di partecipare, smettevamo di fare domande, smettevamo di capire e di crescere. Smettevamo di essere noi stessi. Diventavamo quello che gli altri volevano che fossimo.
Siamo rimasti bambini dentro un corpo di adulti.
E adesso che si fa? Molti di noi se ne sono andati, perché qui, in questo paese, non gli era permesso di cambiare, di diventare grandi, mentre loro, cocciuti, volevano esserlo. Altri, dopo una lunga incerta attesa, hanno cominciato a protestare. Un po’ alla volta mi è sembrato di avvertire le vibrazioni di una popolo che scricchiola. Poi c’è stato il boato. L’urlo di chi pretende di cambiare, di chi vuole scongelare le cellule ibernate di una giovinezza fasulla. E’ troppo presto per poter rispondere alla mia domanda, per poter ammettere che davvero l’Italia sta cambiando, ma di certo si sta generando un moto di inquietudine.
E riconoscere un inizio qualche volta ci dà il senso della speranza.
È da un inizio che riconosciamo il cambiamento. La prima buona azione che ne promette altre. Poi ci vuole fiducia e voglia di fare.
Il Mahatma Gandhi ci ha lasciato detto:
"Noi stessi dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo".
Cambiare mantenendo fede alla memoria di ciò che siamo stati è la nostra impresa.
Nessun commento:
Posta un commento