mercoledì 19 maggio 2010

Subway

C’è un’immagine, una sorta di fotogramma, che spero di non dimenticare mai.
Non perché fosse chissà che momento di illuminazione, di bellezza o tenerezza.
Non era uno scatto di amore romantico o una panoramica mozza fiato sulla città, era una “scena” cinematografica, di quelle che un regista pensa e ricostruisce per suggerire un’emozione. Io però l’ho trovata casualmente, un giorno in metropolitana.
Ero seduta al mio posto preferito, quello che cerco sempre quando salgo in un vagone mezzo vuoto. È la nicchia, la L, l’angolo corto che si appoggia sul finestrino e ti permette di stare un po’ più comodo, guardare la gente da una certa distanza oppure semplicemente chiuderti in te stesso, mentre qualcun altro ti porta verso la tua destinazione. Ero chiusa in me stessa e guardavo fuori dal finestrino. Vedevo i tunnel e le rotaie scorrere veloci e poi ho visto un altro treno correre accanto a noi.
La metropolitana di NYC è una rete complessa di binari e treni. Ci sono linee che fanno lo stesso percorso, ma alcuni treni sono locali (ovvero fermano a tutte le fermate) e altri sono express (fermano solo ad alcune fermate principali). Io ero su un express, la D probabilmente, e accanto a noi correva un locale. Ho visto il tempo scorrere con un altro ritmo, la velocità frazionarsi. Andavamo ovviamente entrambi velocissimo, ma noi un po’ di più e allora potevo vedere dentro i vagoni dell’altro treno. Vedevo le persone scorrere senza muoversi, perdersi dentro se stesse, vivere parallelamente senza sapere che io, un po’ più in là, le stavo guardando. La leggera sincronia dei due treni dava un senso di rallenty, inquadrava la visuale.
Poi ho visto queste due donne, entrambe sedute nella L che anche io stavo occupando (il lato corto della L), si davano le spalle. Erano una accanto all’altra ed erano lontanissime. La signora afroamericana teneva il volto appoggiato sulla mano, lo sguardo lo aveva smarrito nel vuoto, ma potevo vedere le forme avvinghiate dei suoi pensieri. Era stanca, forse preoccupata, forse annoiata. Alle sue spalle sedeva una ragazza bianca, dai lunghi capelli sciolti e portava gli occhiali che l’aiutavano a leggere un libro. Erano entrambe incorniciate dal finestrino, erano un fotogramma perfetto, lento e veloce, senza tempo, dentro un ritmo di passaggio. Io dall’altro lato le osservavo, improvvisamente sottratta a me stessa, svegliata da una scena perfetta. Le guardavo e sentivo che c’era qualcosa che mi attraeva dentro quel quadro.
Ora capisco di aver visto davvero la distanza.

La subway è il sangue di New York. Aperta h24 arriva quasi ovunque e ti permette di vivere davvero la città. Cambiare volto ad una serata è parte di un gioco di immaginazione senza limiti, perché ci si può trasferire da un quartiere alto e chic ad una bettola rumorosa di alcol e musica senza alcuna difficoltà. Il rapporto con la subway però è conflittuale, la si odia e la si ama allo stesso tempo. Dopo quanto detto è facile capire perché la si ama. È il tuo strumento principale per afferrare New York, è più economica dei taxi gialli (utili per tratte brevi o per vizio), è il mezzo di trasporto per viaggiare nel viaggio.

Odiarla viene altrettanto facile quando l’aspetti per un tempo infinito (soprattutto in inverno, quando vedi i topi correre nei binari (o peggio sulle scale del tuo territorio), quando le madri devono farsi carico delle carrozzine perché non ci sono ascensori o scale mobili (ma per fortuna il più delle volte c’è chi le aiuta), quando gli operatori danno informazioni e non si capisce mai nulla. Ma soprattutto le odi quando cambiano percorso improvvisamente (magari l’operatore ha anche cercato di avvisarti, ma tu non lo hai capito… e non per via dell’inglese, ma dell’audio gracchiante).
Se sei frustrato il momento migliore per maledire la subway è il week end, perché SEMPRE, ogni week end arrivano puntualmente i cambi di corsa. Dai famigerati avvisi attaccati alle colonne delle stazioni scopri così che tale linea non arriverà lì, o sarà locale o farà un giro diverso. E poi nel week end ci sono meno corse, come se la gente nel fine settimana non uscisse. Allora le attese diventano lunghissime agonie di noia e sonno (soprattutto il sabato notte/mattina quando da Brooklyn ti prefiggi di raggiungere Harlem).
Nelle mie lunghe attese invernali ho imparato ad avvertire con un breve anticipo l’arrivo della metropolitana. Se sei abbastanza disperato e fissi con determinazione la fine del tunnel sai avvertire il brivido di sollievo di quando il treno raggiunge la stazione. Piccole molecole di aria cominciano a correre un po’ più velocemente, si spostano esultanti e intravedi un bagliore riflettersi sull’acciaio delle rotaie. Quel bagliore diventa sempre più luminoso e poi vedi i fari e pensi…ecco casa, sto arrivando.

Ami la subway quando guardi la gente che la abita. È democratica, tutti la prendono, tutti si confondono, tutti partecipano dello stesso rito. Cambia volto a seconda del percorso, è lo specchio della città in superficie. Se ci sono molti cinesi, stai probabilmente andando a Canal Street o nel Queens. Se in prevalenza ci sono neri probabilmente la direzione è Harlem o il Bronx. Se tutti intorno a te indossano giacca e cravatta o tailleur grigi allora stai certo che Wall Street è la loro fermata.
Convivono tutti più o meno tranquillamente. Tutti presi dagli affari propri, non possono che arrendersi e stare fermi. Inutile affannarsi tanto, nella subway non puoi più correre. È il treno la tua corsa. Tu stai fermo. Quell’attesa è la tua parentesi, il tuo riposo.

Come in tutte le metropolitane del mondo ci sono i musicisti e spesso li ritrovi e diventano familiari.
Mi diverte venire accolta dalla band di Alex Lo Dico, che spesso suona alla stazione di Herald Square. Sono felice quando trovo il pianista che, chissà come, trascina il suo piano fino alla stazione di West 4. C’è chi strimpella la chitarra a Bedford, la notte tardi e chi trasforma dei secchi vuoti in potenti percussioni sulla 14th (problematico quando ti tocca sentirli se hai il mal di testa e vorresti sparire nel silenzio).

Parlando di cose che non tollero, ammetto di perdere la pazienza in un paio di occasioni in metro. Non che faccia scenate isteriche, semplicemente mi innervosisco quando vedo (e sono tanti) quelli che entrano e si bloccano sulle porte. E fanno tutta la corsa così, fermi davanti alle sliding doors, ovviamente complicando non poco l’ingresso degli altri, soprattutto di chi arriva di corsa e cerca di prendere il treno al volo. Ecco che si trovano davanti quel muro umano, anche se il vagone è vuoto loro stanno lì, in piedi, spalle alla porta, incuranti degli altri. Che urto di nervi! E poi tra il nervoso e il divertito assisto al passaggio dei “profeti”. Coloro che con la Bibbia in mano cercano di convincerci che Gesù ci salverà. E ovviamente Gesù ha chiesto loro di fare da tramite urlando a squarciagola nella metropolitana di New York. Ah si, mi hai convinto…perché non ci ho pensato prima??!!

Poi ogni tanto senti di qualche rissa, accoltellamenti, suicidi….ma that’s the New York subway. Il sangue della città, avvelenato, rosso, violento, e nonostante tutto il binario essenziale del nostro ossigeno.

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