Il Bronx è un mappamondo su cui non smetti mai di girare.
Non ero mai stata lassù, a nord est di Manhattan. E' un'area distaccata dal resto della mia quotidianità newyorchese.
Ho preso la linea D della metropolitana, che normalmente prendo per tornare a casa. Ultima fermata 145th. Oggi sono andata oltre, al di là del fiume verso quel distretto infamato da una storia violenta.
Il Bronx è famoso per essere stato un campo di battaglia, un girone dell'inferno. Incendi, sparatorie, faide tra bande erano all'ordine del giorno.
Come tutti i quartieri di New York anche il Bronx ha cambiato anima diverse volte. Inizialmente era un quartiere benestante, ricco di vita e musica. Poi è arrivata la malavita, la droga, la rabbia.
I benestanti sono scappati lasciando alle loro spalle edifici in fiamme e le bande pronte a sbranarsi.
Le fiamme si sono spente, la rabbia si è consumata, il mercato della droga si è spostato altrove. Il Bronx oggi, nonostante il nome "minaccioso", vive una nuova era e come ogni altro spazio cittadino si trasforma e cambia pelle (e accenti) ogni cinque blocchi.
Scesa a Fordham Road mi sono ritrovata nella periferia povera della mela d'oro. Negozi di vestiti scadenti a pochi soldi si susseguono in fila sui marciapiedi sporchi, le minoranze etniche qui dominano, e seppur l'area è stata resa più vivibile e sicura, sento inevitabilmente acido l'odore dell'emarginazione, trovo gli sguardi di uomini senza denti e senza destino, avverto il calore della miccia che pulsa sotto l'asfalto.
Continuo a camminare, vado in cerca di quella Little Italy che a Manhattan non esiste più.
Arthur Avenue e 187th street. Trovo le prime insegne dei ristoranti italiani.
Incrocio tre vecchietti che parlano in siciliano, e nel via vai non mancano i volti messicani, portoricani e afroamericani che si mischiano alle radici dure di un'Italia che resiste.
Entro in una bottega, un piccolo alimentari, e m'invadono tutti quegli odori familiari che quando vivi all'estero semplicemente dimentichi. Senza un disegno preciso, senza nostalgia, semplicemente li dimentichi. Perchè vivi di altre cose. Ti abitui a vedere esposti i bagel, i muffin, i donuts, a sentire per strada gli odori delle noccioline tostate e degli hot dog.
Poi entri in una salumeria italiana nel Bronx, chiudi gli occhi e riesci a dividere gli odori.
Senti i formaggi, i salami, le olive, il pane fresco, i taralli....sorridi, non hai dimenticato.
Ci sono i pacchi di pasta, i biscotti della tua infanzia, le conserve, i pelati nelle lattine che in cinquant'anni non hanno mai cambiato grafica, i cioccolatini, i grissini...tutto quello che è ovvio, ma fuori dal comune.
Decido di pranzare nell' Arthur Avenue Retail Market. Un mercato al chiuso dove tutti parlano italiano, hanno una lunga storia di sbarchi e sapori e ti conquistano con un pezzo di pizza rossa (di quelle del forno, non della pizzeria). Mi siedo ad un tavolo ad assaporare con calma quel pezzetto di casa e ascolto accanto a me una scrittrice che intervista un'anziana signora.
"Mi racconti la sua storia, che la scrivo nel libro." E la signora comincia a raccontare.
Ecco che cos'è. Non sono solo i sapori che ti prendono alla gola qui, sono le storie. Decine, centinaia, migliaia di storie (tutte simili e diverse). Quante di queste storie sono cominciate nella Ellis Island che io ho lasciato solo ieri.
Dopo il mercato entro in una delle tantissime pasticcerie. Se deve essere Italia, che lo sia come si deve. Cannolo alla ricotta e caffè espresso (ma niente da fare...l'espresso non corrisponde).
Continuo a camminare per il Bronx. C'è un'altra meta nella mia mente, un'oasi di orgoglio newyorchese. Il Botanical Garden. 6$ l'ingresso basico, 20$ per le esposizioni.
Un giro nella quiete verde del parco è quello che mi basta.
La cosa che davvero più comunemente i newyorchesi odiano della loro città è il rumore.
Non sempre te ne accorgi, ma è costante, invadente, ossessivo. Avere l'i-pod diventa a volte l'unico modo per resistere ai rumori. Ti chiudi in una musica, per evitare i clacson, le sirene, le urla, le metropolitane che stridono violente.
I parchi staccano la spina. Sono la neve che persiste tutto l'anno, quel cuscino che ti avvolge e ti rassicura. C'è un silenzio, da qualche parte.
Il giardino botanico è molto bello, curato, grande. C'è un bosco al suo interno (una specie di bosco), popolato da scoiattoli felici e uccelli che inaspettatamente puoi sentire cinguettare!
E' una specie di isola deserta anche dal punto di vista "faunistico", infatti nel quartiere black e latino per eccellenza gli unici visitatori che ho visto erano anziani palesemente britannici (o che facevano di tutto per sembrarlo). Bianchi ricchi nell'unico spazio innocente del Bronx.
Forse cambiano le anime, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
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