Soprattutto in metropolitana (sul treno o quando lo si aspetta per interminabili minuti alla banchina) mi capita di osservare i volti di New York.
Le facce che parlano senza voce. Note mute di un concerto metropolitano.
Il battito di una città animale, giungla artificiale.
Alberi fatti di vetro e acciaio, canti di uccelli intonati da sirene e clacson, oasi verdi costruite per respirare, senza coscienza di caccia.
Ma le creature animali che popolano agitate la città da conquistare si mettono in fila per aggrapparsi ad un vagone che li porterà altrove. Perchè siamo sempre nel posto sbagliato, c'è sempre altro da raggiungere, altro da sperimentare, mete da inventare.
Ci sono volti bellissimi lì intorno, la maggior parte di donne. Ci sono molte donne belle a New York. E non è una questione di stile è una questione di storia.
Anche gli uomini più belli che mi è capitato di incontrare avevano la stessa bellezza irrisolta delle donne. Una bellezza che viene da lontano e non ha finito di viaggiare. Afro-americane, asiatiche, latine, e pallide, statuarie bionde nordiche.
Ragazzi dalla pelle d'ebano o di cannella, occhi verdi e chiari come la speranza o scuri come la paura, sorrisi perfetti nascosti nella motonia dell'attesa.
Parlano lingue miste, iniziano una frase in inglese e la finiscono in spagnolo.
E quel miscuglio lo hanno affilato sui lineamenti.
Poi c'è lo stile. Ognuno ha il suo.
Le donne nere di Harlem sono esagerate. Hanno unghie lunghissime, incurvate come artigli di uccelli predatori, laccate con smalti color oro, rosso fuoco o con figure in miniatura. Ci deve essere un codice segreto su quelle unghie. Portano orecchini enormi e capelli intrecciati e tagliati in sculture destinate ad una vita breve.
Le donne asiatiche hanno un distacco che le altre non hanno. Sembrano antilopi agili, sempre in guardia con fare distratto. Capelli liscissimi, pelle limpida e pensieri di nebbia e mistero.
Deve essere per colpa della moda se ci sono tante potenziali modelle a sminuire e mortificare le donne normali. Altissime, magrissime, ammiratissime.
I bei ragazzi che attraversano di fretta le strade affollate e sempre parallele alla mia hanno quel medesimo fascino inafferabile, costruito da generazioni che non hanno mai letto Vogue o visto campagne di Dolce e Gabbana. Sono felini sicuri sè, perlustrano il loro territorio, a volte in branco a volte in solitudine. Delimitano un percorso con la loro bellezza scoperta forse per caso, o mai veramente conosciuta. Li osservo passare, li incrocio, mi giro a guardarli, ma la loro falcata è veloce e porta altrove, in un'oasi che nessuno segnala sulle cartine da $2, appresso ad una meta in movimento.
La New York dei belli è una città che cammina in mezzo a noi, ma che punta lo sguardo in un orizzonte che noi non riusciamo a vedere. Hanno negli occhi la scoperta dell'America, vedono un sogno che hanno ereditato e lo indossano con disinvolta (a volte forse faticosa) purezza.
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