lunedì 9 maggio 2011

Il corpo morto

I classici sono quelle opere che sanno darci una risposta sempre, che lontano nel tempo e nello spazio hanno saputo interpretare gli uomini e ancora oggi continuano a dirci chi siamo.

Omero ci ha lasciato in eredità un testamento di spiriti guerrieri, divine debolezze e umane virtù.
L’Iliade ha tracciato la gloria eterna di due eroi, Ettore e Achille, il principe troiano e il semidio greco. In battaglia Achille uccide Ettore, ma, travolto dall’ira e non sazio della sua vittoria, il guerriero greco prende in custodia il cadavere del nemico, trascinandolo nella polvere con la sua biga.
Omero, racconta così il momento in cui Priamo, re di Troia, si reca da Achille per chiedere la restituzione del corpo del figlio così da offrirgli una degna sepoltura.

“Non farmi sedere, prediletto da Zeus, fino a che Ettore giace nella tua tenda, insepolto, ridammelo presto, che io lo veda con i miei occhi; e tu accetta i doni che ti ho portato in gran quantità; che tu possa goderne e tornare nella tua terra, tu che mi hai lasciato vivere e vedere la luce del sole. (…)
(…) E l’eroe chiamò le schiave e ordinò che lavassero e poi ungessero d’olio il cadavere, ma prima lo fece portare lontano perché Priamo non lo vedesse, e vedendolo, per il dolore, non riuscisse a trattenere la collera ed egli allora non si irritasse al punto da ucciderlo, trasgredendo così il volere di Zeus.”

In queste pagine c’era già tutto, c’era il futuro, perché il futuro è degli uomini, e gli uomini non appartengono ad un’epoca. Non intendo certo fare paragoni tra coloro che hanno combattuto e vissuto 3000 anni fa e coloro che sono stati uccisi solo la scorsa settimana. Non sono certo eroi coloro che professano la morte, che con barbarie progettano una distruzione di massa, né sono eroi coloro che uccidono un uomo arreso. Non è agli eroi o alle vittime che volevo pensare, ma al significato del corpo morto, al rito, al viaggio delle anime sulla barca di Caronte. Al peso di un uomo morto, una volta che la sua anima se ne va. Il corpo che resta.

Ricordo ancora con precisione il momento in cui in qualche modo ho smesso di essere una bambina. Stavo leggendo il giornale, i miei genitori erano seduti accanto a me, preoccupati ma consapevoli che la mia crescita passasse anche per ciò che di lì a poco avrei visto. Non mi hanno impedito di crescere, ma ricordo ancora l’orrore di quella fotografia, non solo, ricordo la rabbia che si celava dietro quella fotografia. Un uomo stringeva tra le mani ed esibiva soddisfatto la testa decapitata di un altro uomo. Credo che quello scatto venisse dal Rwuanda. Lo choc non fu solo vedere quella testa mozzata, ma concepire che per qualcuno quella testa fosse un trofeo.

Barack Obama ha detto che un cadavere non è un trofeo e come tale non va esibito. Che sia questa, anche solo in parte, la ragione che gli ha fatto scegliere di non mostrare immagini del corpo travolto e ucciso del suo nemico, riscatta per me quel principio barbarico dei combattenti che con le mani sporche perdono l’orientamento. La furia non si ferma con la morte, va oltre e affoga nello sfregio del perdente, si avvelena dell’uccisione, si alimenta e permette che si alimentino gli appetiti di vendetta e rabbia.

Per Achille non era sufficiente aver privato Troia del suo amato principe, non bastava aver ucciso l’assassino del suo migliore amico, doveva martoriare quel cadavere per esaurire la sua violenza. Ma la violenza si esaurisce o cresce?
Il corpo che resta è nutrimento per la terra, ma ciò che egli in vita ha fatto, ciò che continua a sopravvivere e il modo in cui continua a sopravvivere pesano immensamente su chi rimane. Per gli alleati e per i nemici il corpo che resta diventa un appello, un principio e, forse, chiudere gli occhi, abbassare lo sguardo anziché indugiare sulla morte, pone finalmente un limite a ciò possiamo sopportare.

Per volere degli déi Achille restituisce il corpo di Ettore e concede 12 giorni di tregua in segno di lutto. Ha stabilito una misura, sa che anche lui morirà, sa che in un modo o in un altro Troia cadrà, forse addirittura sa che tutte quelle morti non hanno senso. O magari questo lo leggo solo io, tra le righe, e per questo amo i classici, tra le righe ci dicono chi siamo.

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