venerdì 12 marzo 2010

La corrente nella piazza del tempo

Mercoledì.
E poi l'ho fatto, sono andata anche dal parrucchiere. Dire che ho tagliato i capelli è arrotondare per eccesso, diciamo che li ho sistemati e mi è passato il raptus della guerra alle punte. Ho preso un pomeriggio libero, perchè avevo diverse cose da fare, una delle quali appunto assecondare il raptus di cui sopra.
Inizialmente pensavo di andare dal parrucchiere di una mia amica, ma quando ho scoperto che chiede $ 200,00 per il taglio ho pensato fosse pure quello un eccesso di troppo. Non sapendo dove andare sono scesa a Chelsea in cerca di un posto qualsiasi che mi trasmettesse un po' di fiducia.
Pessima idea, c'erano solo barbieri. Eh già...Chelsea è quartiere gay. Ne ho trovato alla fine uno unisex, dove me li hanno tagliati così così. Forse mi sono spiegata male? Qui se non ti fai fare la piega i capelli te li lasciano bagnati. Io, testarda, sono entrata nel bagno da Starbucks e li ho asciugati sotto l'asciugatore ad aria calda per le mani. Quando dico che phon e piastra non mi servono ho ragione! Sono uscita ed erano perfetti.

Venerdì.
Ore 7.00 p.m., concerto per pianoforte di Andrea Padova, sonate per Bach e Schuman. Avevo bisgno di armonia e pace e un volo in una stanza.
Ore 10.00 p.m., concerto rockettaro in un pub americano nel Theatre district.
Intermezzo: guardare Times Square che passa.
L'unica cosa che mi piace di Times Square (e zone strettamente limitrofe) è vederla da una certa distanza. Basta un vetro. Stare ferma da un lato e lasciare che dall'altro la corrente umana scorra senza toccarmi.

Non mi sento a mio agio in queste strade. C'è il turista smarrito, il newyorchese di fretta, strade strette e sporche, impalcature ovunque, luci finte ad ogni ora del giorno e della notte (unica cosa che però mi affascina e diverte).
Nonostante tutto ci capito spesso, perchè è uno di quegli anelli di congiunzione fra west e east side.
Passi davanti ai megastore, ai cinema multisala con odore di pop corn imburrati sopra e sotto e moquette ammuffita.
Superi il Madame Tussaud's, con i suoi miti imprigionati in una posa scomoda. I teatri dei musical, i ristoranti ricoperti di salse e colesterolo a buon mercato, i negozi hi-technology, che con gli euro in tasca sono un affare.
Poi trovi una caffetteria stranamente tranquilla, o un diner comodo, e ti metti in vetrina. L'unica vetrina al mondo in cui essere invisibile.
Nessuno dall'altro lato guarda da questa parte, a meno che non ambisca al tuo panino.
Eccoli gli uomini che passano e non ti urtano.
Dove stanno andando, cosa si sono persi, a chi pensano?
Non lo posso sapere, ma come quando ero piccola, mi diverto ad immaginarlo.
La coppia che passeggia muta mano nella mano, ognuno aggrappato al proprio segreto, alla propria tristezza. I turisti confusi con una mappa tra le dita che non sanno se stanno andando a Sud oppure a Nord.
Le donne che corrono sui tacchi alti e acconciature tenute su con due fili e molta abilità, insieme ai loro compagni di gel e dollari freschi, corrono per non perdere l'inizio dello spettacolo.
I barboni in cerca di una sentenza o una speranza. Fate voi, purchè qualcuno risponda.
Rapper, ambulanti, spacciatori e illusionisti (entrambi venditori di inafferabili felicità) tutti in fila per conquistarsi la loro fetta di mela.
Signore e signori, benvenuti a Times Square. La piazza in cui il tempo scorre e non muta.

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