Sto vivendo in una delle città più ricche, lussuose, contraddittorie e desiderate del mondo. Eppure vivo in un paese in guerra. Ci faccio caso? Me lo ricordo la mattina quando attraverso i marciapiedi affollati oppure quando guardo fuori dalla finestra del ventottesimo piano dell'ufficio?
Probabilmente no. Da cosa riconosco allora di vivere in un paese in guerra?
Perchè, quando noi cittadini civili e in pace pensiamo alla guerra, in genere pensiamo alle bombe, alle macerie, alle vittime, ai soldati, ad un futuro sospeso.
Sono passati quasi nove anni dall'attentato di NY e il resto dell'America non ha mai visto macerie, morte o paura. Non ha sentito l'odore del sangue e del metallo fuso. Se oggi pensiamo alla guerra immaginiamo l'Africa (s)perduta o l'Iraq e l'Afghanistan deserti.
Ma in Iraq e in Afghanisan ci sono le truppe americane. In teoria anche l'Italia ci sta, ma dalle nostre comode case facciamo finta che non sia vero. La chiamiamo missione di pace. Crediamo di avere le mani pulite e che le vittime siano incidenti di percorso. Sono il sacrificio di un'allenaza.
Qui le mani sono così insanguinate che non sanno più come lavarle.
La prima volta che mi sono bloccata ed ho capito che qui (o da qui) c'è la guerra è stato verso Natale. C'erano diversi soldati in mimetica in giro. Non troppi, ma qualche gruppetto in licenza c'era. Ricordo un gruppo che faceva baldoria per strada e uno di loro si è fermato per farmi attraversare la strada in una sorta di gesto di cavalleria e conquista. Un'altra volta ho visto una donna avvicinarsi ad un paio di soldati, non capivo le sue intenzioni finchè non l'ho sentita dire "grazie per quello che fate. Che Dio vi benedica".
Qualche giorno fa ho visto una ragazzino in mimetica sulla metropolitana. Era magro, aveva un naso pronunciato, i capelli cortissimi, la pelle chiara e un pesante zaino sulle spalle. Il treno era pieno di ragazzi afroamericani grossi il doppio di lui e pensavo che lo avrebbero fatto a pezzi in dieci secondi, anche solo con le parole. Lui sembrava così fragile e inadatto alle vesti di soldato. Lo guardavo e tutto quello che riuscivo a pensare era, lo stanno mandando al macello. Potrebbe morire dopodomani e avrà a mala pena vent'anni.
Un'altra cosa che mi ha sorpreso e mi ha in qualche modo "spostato" è stato vedere al cinema (piuttosto spesso) tra un trailer e l'altro, lo spot dell'esercito.
Sembra anche quello il trailer di un film. Il montaggio pretende di dare al messaggio convinzione, fiducia, sicurezza. Ma è solo una maschera. Leggo scritto onore, patria, rispetto, lealtà...sventola perfetta la bandiera a stelle e strisce...la musica batte il ritmo dell'avventura...ma non è un film. E' una guerra insensata contro un nemico di sabbia, che con uno scatto veloce ed invisibile beffa il gigante e tutti i suoi decorosi soldati.
Ogni giorno seguo le notizie dai portali italiani. Non ho tempo per leggere quelli americani (sbagliando) e non guardo la Tv, perciò non ho la percezione di quello che qui viene raccontato. Ma so che dovrei, perchè è importante ed è un'opportunità per capire come fanno girare i pensieri da queste parti.
Però sul tavolo della cucina, in ufficio, sfoglio il New York Times e il Washington Post, e non manca giorno in cui non ci sia una foto di uno di quei ragazzi in mimetica, lontani nelle sabbie sospese di un futuro sporco.
Non so Dio che intenzioni abbia, se proteggerà quei ragazzi oppure no, ma spero che Obama trovi il modo di far girare i pensieri di tutti.
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