giovedì 7 aprile 2011

Panem et circenses

I romani antichi, che non erano degli sprovveduti, avevano capito che per sedurre il popolo, per addomesticarlo e distrarlo bastava dargli il pane e il circo,ovvero i giochi equestri, i gladiatori, i combattimenti navali.
Creare un diversivo, buttare un osso, è il modo più furbo ed efficace per approfittare di una distrazione e abusare, in santa pace, del potere (anche di quello legittimamente concesso).
I romani moderni (intesi come coloro che siedono nelle poltrone del moderno foro) continuano la tradizione in modo sempre meno nobile eppure con una tecnica ancora infallibile, perchè di pane in giro ce n'è ben poco, ma di circo se ne vede fin troppo.

Il circo è uscito dal Colosseo ed è entrato, senza chiederci il permesso, nelle stanze del comando. Eccoli i pagliacci, gli illusionisti che confondono la scena, agitano le acque e nell'attimo della distrazione perfetta cambiano le regole. Sotto il fracasso ci sono i bisbigli dei demoni.
E a noi cosa rimane? Il ridicolo svuotato di risate, la caduta senza umorismo, il trucco senza magia, e non abbiamo più nemmeno il pane, nessuna promessa di lavoro, solo la fatica di resistere.
Siamo diventati i gladiatori (gli schiavi) spinti nell'arena senza più armature, restiamo in attesa di un nemico da combattere, ci preannunciano la venuta di un nuovo cattivo da temere e attaccare, ma in lontananza si sente chiaramente l'eco delle risate. C'è un circo, laggiù, che diverte, c'è la banda che suona, le danzatrici del ventre, le donne di facili costumi con poco in dosso e molti desideri stampati nelle banconote da cinquecento che piovono come le crasse risate dei giullari di corte. Il popolo disarmato e chiuso nell'anfiteatro senza orizzonte, affamato e incattivito aspetta un nemico buono da sacrificare e si consola o si avvilisce in quel canto delle sirene ammaliatrici, incerto se credere che quel circo in atto sia una soluzione oppure una colpa.

Se oggi mi lascio suggestionare dall'idea del circo vedo la maschera del clown come un altro volto della malinconia e della solitudine, i vestitini scintillanti delle trapeziste mi sembrano paillettes che riflettono illusioni, il domatore di leoni non è altro che il padrone con la frusta che dispone della ferocia altrui.
Se penso al pane penso al profumo del filone appena sfornato e la promessa che in esso si cela di una colazione al sole.

2000 anni dopo al popolo non resta nulla, abbiamo smesso di chiedere il nostro panem dovuto e ci siamo fatti convincere che il loro circo sia il nostro divertimento. Allora mi chiedo: la storia è stata umiliata o ha superato se stessa?

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