domenica 12 settembre 2010

La storia fa il suo giro

Ci sono date storiche che diventano numeri, nient'altro che codici intraducibili di un tempo che ha fatto un giro largo e non ci ha neppure sfiorato. Altre date le studiamo, diamo loro un significato, piante grasse che senza troppa attenzione si mantengono vive e resistono all'indifferenza.
Poi ci sono quelle date che la storia ci ha scaraventato addosso e ci restano appiccicate, nonostante il desiderio di sminuirle, un anno dopo l'altro.
C'è una data storica che nella mia vita personale ha preso un posto specifico.
E' la storia che ha fatto il suo giro e ha chiuso un cerchio intorno a me.
Adesso, dopo tutti i mesi in cui New York è diventata anche mia, quel cerchio si stringe. 11 Settembre.

11 Settembre 1973. A Santiago del Cile Augusto Pinochet, generale dell'esercito, si impossessa con un feroce colpo di Stato del potere. Salvador Allende, Presidente in carica si suicida (secondo le fonti ufficiali) per non concedersi al nemico. Via radio, con un commuovente discorso alla nazione, pronuncia il suo coraggioso addio.
Da quel primo giorno, per i successivi 16 anni, la dittatura di Pinochet ha tenuto in ostaggio il Paese. Due anni più tardi i miei genitori hanno lasciato il Cile, pieni di dubbi e una sola certezza: non si può vivere sotto una dittatura, non si può vivere senza ridere, non si può vivere senza il progetto di un futuro.
Io sono nata in Italia e per me quell'11 Settembre è sempre stata una data di lutto, la cifra della distanza, quella che mi separava da un Paese originario sconosciuto.

11 Settembre 2001. A New York due aerei si lanciano contro le Torri Gemelle, un altro precipita sul Pentagono, un altro ancora esplode fuori rotta...chissà. Ma sono quelle torri in fiamme, che crollano e si svuotano, che restano nel nostro immaginario, ci si appiccicano addosso e levarsele è impossibile.
Quando sono passata per il World Trade Center, lo scorso Novembre, era una giornata di sole e mi colpì il vuoto. C'erano grattacieli ovunque, tranne che lì, in quello spazio bianco, in quella distanza.
Quello che amo di New York è il suo principio di diversità e convivenza. Le polemiche assurde, feroci e ignoranti di questi giorni che hanno scatenato cortei e principi di guerra (ancora), oltre ad essere tutto ciò che ho appena detto, sono del tutto fuori luogo. Nel senso letterale del termine. Perchè New York è il centro del mondo, il punto di raccolta di tutte le culture, dove tutti hanno una chance. Tutti possono pregare o bestemmiare, possono sognare o costruire, possono cercare un Dio o portarlo in una valigia. E' per questo che New York è stata il bersaglio dei terroristi, perchè rappresenta l'opportunità di rinascere e reinventare fuori dagli schemi, ad una sola condizione: il rispetto per le opportunità altrui.
C'è una parola che la storia, per meglio dire gli uomini che malgrado noi fanno la storia, hanno talmente masticato e sputato da nausearmi, eppure è una parola a me cara, l'origine del nostro tempo, il motivo del nostro esistere: libertà.
Non sanno più cosa sia. Mi chiedo se le nuove generazioni ne abbiano una vaga idea. La sentono ripetere e ripetere e ripetere e ripetere che la struttura che serviva a tenerla in piedi è ormai un gioco di sabbia.

Ricordo il racconto di mio padre, appena arrivato in Italia quel lontano gennaio del 1975. Lui, mia madre e mia sorella arrivarono a Bologna (la casa dei miei nonni...quando la storia fa i suoi giri..), mio zio, arrivato tempo prima, lo accompagnò a fare una passeggiata in centro.
Era notte, in Cile di notte non si poteva circolare, c'era il coprifuoco.
Si fermarono sotto le due torri, le torri degli Asinelli, e mio padre si sentì libero.

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